Non ho più voglia di fare bilanci sui caduti in questa orribile guerra. Non ha più senso, non ci sono più motivi ragionevoli. Piango un amico, l'ennesimo, il più vicino.
Ci siamo conosciuti qualche anno fa in ufficio. Completamente diversi, con storie pregresse agli antipodi, con abitudini talmente dissimili da sembrare arrivati da due pianeti lontanissimi tra loro. Uno il Diavolo, l'altro l'Acqua Santa. Con due passioni in comune: il nostro lavoro ed i figli. Lui ne aveva avuto uno in giovane età. Quando ne parlava i suoi occhi si illuminavano, come la punta della sua sigaretta. E sì, perché ne aveva sempre una in mano. E mentre ti parlava intercalava alle parole, il gesto di aspirare un'altra boccata di nicotina. Guardava sempre gli altri dritto negli occhi quasi a sfidare il suo interlocutore ed il mondo. Tentava di farti accettare la sua idea e non si arrendeva mai. Spesso, gli davo ragione e poi andavo avanti per la mia strada. Ma non sono mai riuscita a vincere con lui. Tanto è vero che tra tanti progetti che avevamo condiviso, quello di cui si era occupato lui autonomamente, era impostato in modo completamente diverso dagli altri. Non so dirvi se fosse migliore di come l'avremmo fatto tutti noi o no, so dirvi solo che aveva la sua impronta, che chiunque l'avesse visto, avrebbe detto: lo ha fatto lui.
Poi le nostre strade professionali si separarono, continuando un cammino parallelo. Ogni tanto ci si incontrava e non mancava mai il sorriso né lo sfottò, tipico delle sue origini partenopee. Posso affermare che, probabilmente, non ci piacevamo poi moltissimo: vedevamo nell'altro il nostro opposto. Poi circa quattro anni fa, arrivò una e-mail: serve sangue per Salvatore, si è ammalato di leucemia.
All'epoca non conoscevo il "mostro", sì, ne avevo sentito parlare, ma non sapevo cosa fosse. Continuavano a giungere notizie contrastanti: non ce la farà, ha perso un polmone, ha solo il 30% di possibilità di riprendersi. Poi dopo qualche settimana, la notizia più gradita: il "mostro" era stato sconfitto, "remissione completa". Improvvisamente, alla fine dell'estate, venne in ufficio. Completamente glabro, con il viso un po' gonfio per il cortisone, ma con la sua tipica aria da strafottente: non voleva perdere il contatto con il suo lavoro, per questo era passato. Avevo da poco subito un delicato intervento all'intestino ed ero dimagrita qualche chilo. Lui mi chiese come stessi, come mai avessi perso peso. Ed io che non ebbi il coraggio di parlargli di quella, che avevo capito dal suo aspetto, essere stata una banalità rispetto al suo percorso, ribaltai a lui la domanda. Riuscì solo a scherzare sul suo aspetto e a raccontarmi di essere liscio come un bambino in ogni parte del suo corpo senza rischio di fraintendimento. Mi disse che attendeva di fare l'"autotrapianto" di cellule staminali, perché non aveva familiari compatibili. Cercai di capire di cosa si trattasse leggendo su internet, ma mi sembrava tutto talmente complicato… Fu sottoposto all'autotrapianto, i primi di dicembre del 2006. Ad un anno esatto di distanza, le nostre strade, purtroppo non professionali, ma di dolore, si intrecciarono di nuovo: stessa diagnosi, stesso percorso di cura, stessa prognosi, ma con lui che mi faceva da apripista. Con lui al quale guardavo come un esempio di forza e di coraggio. Gli scrissi un messaggio e lui mi rispose dicendomi di non mollare, di non arrendermi, di lottare, di "spaccare il culo al mostro", di farlo per i miei figli, per la mia famiglia, perché no?, anche per il mio lavoro. Lui mi disse di aver compiuto un anno della sua nuova vita.
Intorno allo scorso febbraio, ricevo una e-mail sulla posta aziendale. Salvatore aveva in corso una recidiva e necessitava di nuovo di trasfusioni. Lo chiamai, non esitai a farlo. Pensavo di doverlo spronare, ma, ancora una volta, lui incoraggiò me, dicendomi che l'avrebbe sconfitto di nuovo, il "mostro".
Non è stato così: sabato notte si è spento. Ed ora il mio faro non è più illuminato. Ma non mi arrendo, anzi mi rendo conto che sono io ora che porto la torcia e che ho il dovere di aprire la strada a chi verrà dopo di me. Perché di leucemia si muore, è inutile nasconderselo, ma io cercherò di vivere, o meglio, di vivere appieno tutti i giorni che verranno.
Ci siamo sentiti venerdì scorso l'ultima volta, e sapevamo entrambi che sarebbe stata l'ultima. La sua ultima frase è stata: "Sarai sempre nel mio cuore", ed io gli ho replicato che nel mio c'era lui come era nelle mie preghiere e nei pensieri.
Addio Salvatore.
Mi mancherai.