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lunedì 24 maggio 2010

Il Diavolo e l’Acqua Santa

Non ho più voglia di fare bilanci sui caduti in questa orribile guerra. Non ha più senso, non ci sono più motivi ragionevoli. Piango un amico, l'ennesimo, il più vicino.

Ci siamo conosciuti qualche anno fa in ufficio. Completamente diversi, con storie pregresse agli antipodi, con abitudini talmente dissimili da sembrare arrivati da due pianeti lontanissimi tra loro. Uno il Diavolo, l'altro l'Acqua Santa. Con due passioni in comune: il nostro lavoro ed i figli. Lui ne aveva avuto uno in giovane età. Quando ne parlava i suoi occhi si illuminavano, come la punta della sua sigaretta. E sì, perché ne aveva sempre una in mano. E mentre ti parlava intercalava alle parole, il gesto di aspirare un'altra boccata di nicotina. Guardava sempre gli altri dritto negli occhi quasi a sfidare il suo interlocutore ed il mondo. Tentava di farti accettare la sua idea e non si arrendeva mai. Spesso, gli davo ragione e poi andavo avanti per la mia strada. Ma non sono mai riuscita a vincere con lui. Tanto è vero che tra tanti progetti che avevamo condiviso, quello di cui si era occupato lui autonomamente, era impostato in modo completamente diverso dagli altri. Non so dirvi se fosse migliore di come l'avremmo fatto tutti noi o no, so dirvi solo che aveva la sua impronta, che chiunque l'avesse visto, avrebbe detto: lo ha fatto lui.

Poi le nostre strade professionali si separarono, continuando un cammino parallelo. Ogni tanto ci si incontrava e non mancava mai il sorriso né lo sfottò, tipico delle sue origini partenopee. Posso affermare che, probabilmente, non ci piacevamo poi moltissimo: vedevamo nell'altro il nostro opposto. Poi circa quattro anni fa, arrivò una e-mail: serve sangue per Salvatore, si è ammalato di leucemia.

All'epoca non conoscevo il "mostro", sì, ne avevo sentito parlare, ma non sapevo cosa fosse. Continuavano a giungere notizie contrastanti: non ce la farà, ha perso un polmone, ha solo il 30% di possibilità di riprendersi. Poi dopo qualche settimana, la notizia più gradita: il "mostro" era stato sconfitto, "remissione completa". Improvvisamente, alla fine dell'estate, venne in ufficio. Completamente glabro, con il viso un po' gonfio per il cortisone, ma con la sua tipica aria da strafottente: non voleva perdere il contatto con il suo lavoro, per questo era passato. Avevo da poco subito un delicato intervento all'intestino ed ero dimagrita qualche chilo. Lui mi chiese come stessi, come mai avessi perso peso. Ed io che non ebbi il coraggio di parlargli di quella, che avevo capito dal suo aspetto, essere stata una banalità rispetto al suo percorso, ribaltai a lui la domanda. Riuscì solo a scherzare sul suo aspetto e a raccontarmi di essere liscio come un bambino in ogni parte del suo corpo senza rischio di fraintendimento. Mi disse che attendeva di fare l'"autotrapianto" di cellule staminali, perché non aveva familiari compatibili. Cercai di capire di cosa si trattasse leggendo su internet, ma mi sembrava tutto talmente complicato… Fu sottoposto all'autotrapianto, i primi di dicembre del 2006. Ad un anno esatto di distanza, le nostre strade, purtroppo non professionali, ma di dolore, si intrecciarono di nuovo: stessa diagnosi, stesso percorso di cura, stessa prognosi, ma con lui che mi faceva da apripista. Con lui al quale guardavo come un esempio di forza e di coraggio. Gli scrissi un messaggio e lui mi rispose dicendomi di non mollare, di non arrendermi, di lottare, di "spaccare il culo al mostro", di farlo per i miei figli, per la mia famiglia, perché no?, anche per il mio lavoro. Lui mi disse di aver compiuto un anno della sua nuova vita.

Intorno allo scorso febbraio, ricevo una e-mail sulla posta aziendale. Salvatore aveva in corso una recidiva e necessitava di nuovo di trasfusioni. Lo chiamai, non esitai a farlo. Pensavo di doverlo spronare, ma, ancora una volta, lui incoraggiò me, dicendomi che l'avrebbe sconfitto di nuovo, il "mostro".

Non è stato così: sabato notte si è spento. Ed ora il mio faro non è più illuminato. Ma non mi arrendo, anzi mi rendo conto che sono io ora che porto la torcia e che ho il dovere di aprire la strada a chi verrà dopo di me. Perché di leucemia si muore, è inutile nasconderselo, ma io cercherò di vivere, o meglio, di vivere appieno tutti i giorni che verranno.

Ci siamo sentiti venerdì scorso l'ultima volta, e sapevamo entrambi che sarebbe stata l'ultima. La sua ultima frase è stata: "Sarai sempre nel mio cuore", ed io gli ho replicato che nel mio c'era lui come era nelle mie preghiere e nei pensieri.

Addio Salvatore.

Mi mancherai.

sabato 8 maggio 2010

Sospesa tra la stanchezza e la voglia di vivere

E' davvero un sacco di tempo che non aggiorno il blog.

Semplicemente perché in questi ultimi mesi la mia voglia di raccontarmi è venuta meno. Non ho grosse novità, quindi mi sembra di parlarmi addosso, anzi di scrivermi addosso.

La mia vita scorre tra un controllo ed un altro. I miei valori stanno lì, inchiodati. La mia malattia residua oscilla e con essa la mia serenità, la mia fiducia nel presente e nel futuro. Anche la mia volontà ferrea di riprendere il controllo della mia vita, di rimettermi in gioco, di testare le mie nuove, o riacquisite, capacità di cavarmela nelle diverse situazioni della vita quotidiana, vengono meno.

In tre parole: sento la stanchezza.

Sono stanca di sentirmi una precaria. Sono stanca di sentirmi malata. Sono stanca di sentirmi un'osservata speciale. Sono stanca di sentirmi stanca.

Sento sulle mie spalle la fatica di questi ultimi 2 anni e 5 mesi.

Poi mi guardo indietro e se ricordo quando ero cieca per via dell'infezione agli occhi, quando ero allettata per via delle emorragie, quando ero sotto alimentazione forzata, quando ero in isolamento per via delle difese immunitarie inesistenti, quando dipendevo da tre trasfusioni alla settimana, quando a malapena riuscivo ad alzarmi dal letto con le mie gambe… beh, la mia vita di oggi è una meraviglia. Ma mi tocca guardare bene il bicchiere per vederlo mezzo pieno perché a primo acchitto, ve lo assicuro, mi sembra sempre e comunque mezzo vuoto o meglio vuoto e asciutto.

Anche i ragazzi, ed in particolare Marco, iniziano a non tenere più la tensione. Sono irascibili, poco ragionevoli, scattano al minimo stimolo. Ed io, ovviamente, mi sento in colpa per tutto questo: so bene cosa significhi vivere l'incertezza data dalla malattia di un genitore. Mio padre aveva trenta anni (ed io un paio) quando ha iniziato ad avere seri problemi di salute e noi tre, bimbe, adolescenti e poi ragazze, siamo cresciute, nonostante gli sforzi di mamma per tenerci fuori, in un clima di instabilità emotiva scaturita dalla poca sicurezza per l'avvenire. Poi, tra un acciacco e l'altro e la sua voglia di vivere, papà ci ha lasciate che eravamo tutte e tre sposate, ma ha lasciato una moglie stanca ed estenuata dalla fatica psicologica di vivergli accanto tra alti e bassi, e tre ragazze, in modi diversi, intimamente provate.

Nel frattempo il lavoro va avanti; da pochi giorni sto valutando la possibilità di spostarmi in un altro gruppo, per la maggior parte di base a Genova: sto iniziando a seguire qualche riunione, a capire di cosa si tratta, ma purtroppo, spessissimo, la mia voglia di fare è frenata da un lato dall'eccessivo grado di preoccupazione riguardo la mia salute del mio nuovo capo, dall'altro dalla giustissima paura dei nuovi colleghi, per la maggioranza ben più grandi di me, non tanto di trasferirmi le proprie competenze, quanto di lasciarsi sfuggire tessere della propria attività in un momento così difficile per il mercato e per la nostra azienda per la quale c'è aria di cessioni di rami di azienda, mobilità ed esuberi. Così, io che negli ultimi anni prima della malattia, ero abituata a gestirmi da sola ed a gestire il mio piccolo gruppo in piena autonomia e con piena fiducia dei miei colleghi e superiori, oggi mi trovo a dover eseguire ordini o svolgere compiti ben definiti e senza uscire dalle righe. Chissà…

Nel frattempo la mia nonnetta ottantaseienne, si è allettata e si sta consumando… Lei è stata uno dei punti fermi nelle nostre vite ed ora, vederla così, è uno strazio per tutti. Ma il tempo passa e fa il suo corso e non resta che rassegnarsi al proprio destino.

E per finire, il bel tempo non accenna ad arrivare e tutta questa pioggia ha un po' rotto le scatole: avrei voglia di sole, di cieli azzurri, di ponentino che alla sera accarezza le mie guance, di passeggiate, di sabbia sotto i piedi e di schizzi d'acqua di mare, di corse al parco, di camminate in montagna, di freschi ruscelli, di impetuose cascate, di verdi prati, di cinguettii di uccelli, di profumo di fiori… insomma, ho semplicemente voglia di vivere!

Alla prossima

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